L’aggressività durante l’infanzia

 

L’aggressività è un’energia, una forza vitale presente nel bambino sin dalla nascita, pertanto ancor prima che possa esprimere i suoi impulsi intenzionalmente: “l’aggressività fa parte dell’espressione primitiva dell’amore. Conviene descriverla in termini di oralità dal momento che sto appunto studiando le prime pulsioni d’amore” ( Winnicott “Dalla pediatria alla psicoanalisi”)

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Essa è presente ancor prima della nascita, infatti la ritroviamo nei movimenti fetali come lo scalciare del bambino nel grembo materno. Dopo la nascita il piccolo ad esempio morde il seno, non sa che ciò che sta “aggredendo” nei momenti di fame è identico a ciò che ama e che lo gratifica. Attraverso cure adeguate, costanti, prive di lunghe frustrazioni, riesce ad integrare dentro sè un oggetto buono che è capace di accoglierlo sentendosi anch’egli dotato d’amore.

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Nella crescita sana il bambino sperimenta, infatti, la sua ambivalenza verso le persone che ama, li ama, li desidera e li aggredisce, se questi “sopravvivono” al suo odio e alla sua aggressione, se lo accolgono e lo amano con fermezza, egli impara a conoscere e a tollerare la sua aggressività.

Successivamente la metterà al servizio di scopi costruttivi e la utilizzerà per scopi riparativi.

Il bambino sano può sopportare questo sentimento e diviene capace, grazie all’aiuto di una madre sufficientemente buona, di scoprire il suo bisogno di donare, costruire e riparare. Grazie a ciò l’aggressività si trasforma in funzione sociale.

Essa è una forza vitale e positiva, promuove il movimento del bambino verso l’autonomia e l’esplorazione, sin dalla nascita rappresenta il mettersi in relazione con qualcuno.

Pertanto, essa è indispensabile per iniziare a distaccarsi pian, piano  dalle figure genitoriali ed iniziare ad affrontare il mondo. Questa capacità la ritrovimo quando il bambino tocca gli oggetti, li apre, li rompe ed esprime il bisogno e la necessità di conoscere ciò che lo circonda.

L’aggressività è quindi una pulsione sana e funzionale ai bisogni di crescita del bambino.

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Quando la relazione genitori-bambini è fondata sulla paura e sulla instabilità, sulla carenza di affetto, il mondo interno del bambino si popola di crudeltà e il suo odio si fa inconoscibile e intollerabile.

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Qui l’aggressività è scissa viene evacuata nel mondo esterno “quando le forze crudeli o distruttive – minacciano di sopraffare quelle dell’amore, l’individuo deve fare qualcosa per salvarsi e una cosa che egli fa è di volgersi verso l’esterno, drammatizzare il mondo interno al di fuori di sé, assumere lui stesso il ruolo distruttivo e suscitare il controllo di un’autorità esterna“ (Winnicott, “Il bambino deprivato”).

Quando le forze distruttive minacciano di sopraffare quelle dell’amore, allora si vira verso tendenze antisociali.

Una aggressività distruttiva è  dettata dalla paura di non essere amati, comporta un mondo interno troppo spaventoso, lo scopo di questa aggressività è trovare un controllo tramite “l’atto antisociale”.

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L’atto antisociale è un segnale disperato di un bambino che soffre, la violenza è un modo inconscio che ha il piccolo per comunicare il malessere, per chiedere aiuto e comprensione.

L’aggressività del bambino è un impulso da canalizzare e questo avviene grazie alle persone che si prendono cura di lui, che gli offrano affetto, comprensione, contenimento e dei limiti. Questo è importante perché il bambino possa imparare a sentirla non come qualcosa di negativo o di distruttivo.

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Quando però essa diviene dirompente bisogna che il genitore o chi si prende cura di lui, gli comunichi che ciò che sta facendo non va bene, ma non è una catastrofe e che l’adulto è riuscito a sopravvivere a questi attacchi. Questo messaggio è utile al piccolo perché comprende che non è ignorato, ma presente nella mente dell’altro e che non ha distrutto ciò che ama, quindi la sua paura è mitigata.

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Dott.ssa Valentina Gentile

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